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BLOGVS | April 20, 2024

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L’AntipatiCibVs: Piccole antipatie di insopportabile irrilevanza – eppure…

L’AntipatiCibVs: Piccole antipatie di insopportabile irrilevanza – eppure…
Emanuele Bonati

In effetti, non è niente, o quasi, di che – piccole imperfezioni, microscopici sgarbi, innocue incrinature nella perfetta successione di pagine e commenti e post e interventi che ci circonda, in cui sembra a momenti di essere immersi senza speranza di uscita – sai già che se scrivi sul tuo blog “non mi sembra che…”, subito decine e decine di voci si alzeranno per smentirti a prescindere, senza che tu abbia ancora precisato cosa; sai che una buona parte di quello che leggi come prodotto esperienziale di autentiche partecipazioni personali a eventi, è copiaincolla di comunicati stampa; sai che l’approssimazione regna sovrana nei cosi, lì, come si chiamano, nei posti, no, nei siti…

* * *

Un’amica foodblogger partecipa a una gara organizzata da un noto prosciuttificio con altre cinque foodblogger. Che bello, son contento per lei… ma… cos’è, slovena? polacca? Il suo nome nel comunicato stampa è “Minica”. Per carità, può succedere. Può succedere anche che il nuovo nome di Monica venga ripreso da testate online che raccontano l’evento – o meglio, che riportano il comunicato stampa: lo si capisce da certa terminologia, a partire dall’uso del termine “talent show”, insolito per uno showcooking, a un’aggettivazione (appassionante gara di cucina, finale mozzafiato) iperuranica, per finire con l’assenza dei nomi di quattro su sei blog partecipanti (e di una concorrente si è usato un cognome che non compare sul blog – e poi c’è Minica…) e poche idee (ingredienti limitati?), poca organizzazione pre-evento, sugli ingredienti, pochi tweet…

Certo, il discorso di fondo è “noi, l’altr’anno, gliel’avevamo organizzato meglio” – ma forse sarebbe più esatto chiedersi: era così difficile rifare qualcosa di simile dal punto di vista organizzativo, dell’efficienza, a partire dal controllo dei nomi?

 * * *

Si tratta di professionalità, in un certo senso. Come quell’account di Twitter intestato a un’entità turistica territoriale piemontese, che ha pubblicizzato torpedoni di gitanti da portare all’Expo ma da riportare indietro al più presto, non vorrete mica restare a Milano un solo minuto in più del necessario? Se il concetto può essere valido (è vero che è molto bello soggiornare nel vostro territorio), la comparazione non regge (perché dovrebbe essere molto meglio che soggiornare a Milano?), ovviamente, soprattutto in termini di correttezza, di bon ton. Alle rimostranze di alcune persone online, chiunque avrebbe risposto “scusate, ci siamo forse espressi male, non volevo non credevo non sapevo” – invece, le risposte sono state, tutte, come dire? – svianti, che non entravano nel merito, ma divagavano, con un’aria vagamente saccente, che certo non giova al profilo comunicativo dell’ente rappresentato. Ed è un peccato, per quanto piccolo: il Piemonte è una regione che si sta muovendo veramente bene dal punto di vista della comunicazione sui social, e non solo.

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E poi – l’annosa questione dei foodblogger che se non scrivono “buonissimo” a prescindere sono dei sicari prezzolati incapaci frustrati mafiosi e chi più ne ha più ne metta. Accade periodicamente a tutti – è appena accaduto a un’amica, che ha scritto di un locale romano chiamato come la mitica Trabant e arredato con altre icone della Russia Sovietica. La mia amica, russa dei tempi dell’URSS, ha espresso il suo disagio nel trovarsi in quel locale per la presentazione alla stampa, disagio acuito dal fatto di aver atteso per tre quarti d’ora che le arrivasse il piatto ordinato (peraltro “buono”).

Apriti cielo: tutti a scagliarsi contro chi, oltre a (non?) mangiare a sbafo, si permette di criticare supposti ritardi, ma chi è lei per parlare, per scrivere, e via di repertorio. In prima fila, i gestori del locale, naturalmente (“Eccola la mafietta dei foodblogger, se non sei loro amico ti recensiscono cercando palesemente di tagliarti le gambe”), che si giustificano dicendo che l’evento era gratis (e…?), e proseguono riconoscendo che il cibo era stato definito “buono”, ma che doveva essere la prima cosa da dire (l’unica?). In conclusione? “Alziamo un bel MURO in faccia a questa gente. Errore nostro essere stati lenti, errore nostro aver nutrito questa mandria di somari.” Invito a cui si accodano volenterose commentatrici, che si affrettano a dare patenti di competenza: “Lo stile di una testata on line che si fa riconoscere. Anche nella scelta di collaboratori pagati poco o niente, quindi anche volontari senza alcuna competenza e magari anche convinti di capirne, senza alcun fondamento se non quello di essere stati scelti per lavorare gratis”.

(Boh. Sarà un caso che l’ufficio stampa si sia licenziato dopo questa querelle?)

Quindi: se io faccio un locale, e ci si mangia anche solo benino, se sei un foodblogger serio devi dire che è tutto bellissimo e buonissimo.

E se aprissi un locale, che so, “Al Manganello Ardente”, servissi  dei panini di surrogati, cocktail di olio di ricino, e i foodblogger…

Emanuele Bonati

in copertina: Un’altra Ultima cena di Gregorio Botta, particolare, Triennale di Milano (foto eb)

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